Letteratura Milanese

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Fabio Varese

 

* Biografia

 

* Giudizio critico - letterario

 

* Opere

*  L’autore descrive la propria abitazione

* Risposta

*  Per una meretrice che lo avea abbandonato

*  Risposta

*  Al è on quaj trenta di che so' in preson

*  Sopra una Speziara

*  Scolté, se vorì rid, che ve vûj dì

*  A’ Suoi Compagni Musici

*  In Disprezzo

*  Sopra le puttane

*  Sopra l’impotenza amorosa

 

 

* Opere da scaricare e ascoltare in formato Mp3:

 *  L’Autore descrive la propria abitazione

 

 

Bibliografia

 

 

 

 

 

 

 

Biografia

 

Fabio Verese è nato, probabilmente a Verese, intorno al 1570, da una famiglia abbastanza agiata. Della sua vita sappiamo poco: è stato maestro di cappella presso il   Duomo di Milano, e doveva risiedere nei dintorni di S.Stefano, dove un tempo sorgeva il “Laghetto”, vicino al Verziere. È morto nel 1630, anno della famosa peste di manzoniana memoria, come riporta il Registro del Magistrato alla Sanità: “Fabius Varesius ann.60 ex Febre obiit”.

Della sua produzione scritta ci sono rimasti un volume di canzonette italiane e una trentina di sonetti milanesi.

 

 

 

Giudizio Critico - Letterario

 

Fabio Varese è definito sovente come un primo “poeta maledetto”, o “bohemienne”, di stampo ambrosiano. Ad avvalorare questa definizione d’autore, per così dire, clandestino, ha storicamente contribuito la censura che ne ha segnato o celato i testi. In realtà il Varese dovette condurre una vita ben più agiata di quella che sembra trasparire dalle sue poesie, essendo originario di una famiglia benestante che ben curò la sua educazione sia in campo letterario che musicale.

La stile e il contenuto della sua opera debbono essere dunque ricondotti a una scelta letteraria di tipo stilistico e retorico, tra l’altro abbastanza in voga al tempo. Motivo di questa atteggiamento artistico è l’insofferenza verso la normalità di una tradizione poetico-letteraria vista sempre più standardizzata e forzata. Il maledettismo  del Varese è da ricondurre, secondo Franco Brevini, a quel movimento anticlassicistico secentesco che s’inserisce nella tradizione inaugurata verso la fine del cinquecento dal filosofo Giordano Bruno e dall’estroso letterato Pietro Aretino.

Caratteristica particolare del Varese sono le Risposte ch’egli fa seguire ai vari sonetti, nei quali, sempre in rima,  rimprovera se stesso dei lamenti appena esposti.

Fabio Varese può considerarsi l’inauguratore e il padre di quel filone della poesia colta milanese di stampo umoristico-verista che sarà poi portato avanti e raggiungerà il culmine del suo splendore con Carlo Porta.

 

 

 

 

Opere

 

L’autore descrive la propria abitazione

 

No m’ domandè de grazia donde stò

che maledetto sia stó in d’ona cà

dov’ no poss dì né nogg mai repossà

del fregg e del frecass e del spuzzó;

 

ona cà sott i copp che quand ghe vó

gh’hó semper scient basij da inumerà,

dò camer dall’invers dov’ mai no gh’dà

da nessun temp dell’ann on pó de só;

 

par mezz ai beccarij, par mezz al foss

e se sent i becchè co’ i sû folgasg

che van semper taiand carn’e baloss,

 

dond se ved nomà donn che lava strasg;

de più andà ai fenester mai no poss

che no veda a voià sempr’on pettasg;

 

su i scar millj spegasg

de merda d’i fancitt d’i mé visin,

che caghen anch d’i vûlt sott al camin.

 

In l’ora del mattin

gh’hó pû sempr’on concert de resegott,

de carr e de carret on terremott.

 

Ma quest el è nagott

respett al ciass che fan i barchirû

i vedei de becché co’ i vacch e i bû.

 

Tra l’olter gh’è on fiû

d’on vesin che no’m lassa mai dormì

ch’al rasgia dalla sira in fin’ al dì.

 

Ma cazz mì vûi fusgì

e portà via ona nogg la paia e’l legg:

malett sia ‘l patron, la cà co’l tegg.

 

 

 

 

 

Non domandatemi, di grazia, dove sto (di casa)

che sia maledetto, sto in una casa

dove non posso mai riposare giorno e notte

dal freddo e dal fracasso e dalla puzza

 

 

Ona casa sotto le tegole (nel sottotetto) che quando ci vado

ho sempre cento scalini da conteggiare,

due camere dall’altra parte (verso nord) dove non si dà mai

in nessun tempo dell’anno un po’ di sole.

 

 

Per metà rivolta verso le macellerie, per metà verso il fossato

e si sentono i macellai con i loro coltellacci

che son sempre dietro a tagliare carne e ossa,

 

 

da cui si vedono solo donne che lavano stracci;

per di più non posso mai andare alle finestre

che non veda sempre a svuotare un vaso da notte

 

 

sulle scale mille scarabocchi

di merda dei bambini dei miei vicini,

che a volte cagano anche sotto al camino.

 

 

Nel primo mattino

ho poi sempre un concerto di falegnami,

un terremoto di carri e di carretti.

 

 

Ma questo è nulla

rispetto al chiasso che vanno i barcaioli

i vitelli da macello con le vacche e i buoi.

 

 

Tra l’altro c’è il figlio

d’un vicino che non mi lascia mai dormire

che raglia dalla sera al mattino

 

 

Ma cazzo io voglio fuggire

e una notte portare via la paglia e il letto:

maledetto sia il padrone, la casa col tetto.

 

 

Commento:

Il tema del lamento per la povertà e la scomodità dell’abitazione del poeta rappresenta uno dei topos caratteristici di questo tipo di poesia di stampo giocoso piuttosto diffusa nel seicento. Secondo lo Stella questa poesia sembra risalire, anche stilisticamente ,al primo periodo della produzione del Varese. La casa del poeta doveva trovarsi nelle vicinanze della Fabbrica del Duomo, a cui si possono far ricondurre i rumori lamentati dei falegnami e carpentieri (resegott) e dei barcaioli che solcavano il naviglio nei pressi del Laghetto di Santo Stefano, portando i marmi per la costruzione della Cattedrale.

 

Il laghetto di Santo Stefano in una stampa settecentesca

 

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Risposta

 

El stall dovè te sté l'è da par tò,

anz mi me maravûj e s' no só già

chi sia costù che t'habbia tolt in cà

essend inscì porscell e inscì gogò.

 

Ch'occorr te baiet e t' rompet el cò

co'l fà sonitt e tutt el di rasgià.

S' te g'hé parigg basij da innumerà,

rompet almanch el coll e borla giò;

 

o tû on martell, smaraiet prest i oss

e spettasciet la merda ind el bottasg

e fatt almanch fini da crepà 'l goss.

 

Te mostret pur a manaman 'l busnasg

o poverasg fottú, te no g'hé indoss

in tutt per tutt per quatter sold de strasg;

 

e nomà pettegasg

se ved in la toa cà, brutto mastin,

e stronz per tutt ch'ammorben i visin.

 

De mûd, el mé strascin,

te pû grattatt el cû inscì da biott

e segná i cantarij cont i strambott.

 

No l'è i resegott

che te daghen fastidj nè i fiû,

ma l'è 'l dormi co' i piûgg senza lanzû.

 

Ma par dà fin incû

a sta libeba, olter no vûj di

nomà perchè só che te vû fusgi.

 

Ma cazz, credill a mi,

te t'ingannet coion, che al tò despegg

el patron vûr el figg e tût el legg.

 

 

 

 

La stalla dove te ne stai per i fatti tuoi,

io mi meraviglio e non mi so immaginare

chi sia costui che ti abbia preso in casa

essendo tu così porcello e così scostumato.

 

Che bisogno c’è che abbai e ti rompi la testa

Facendo sonetti e ragliando tutto il giorno.

Se hai parecchi gradini da conteggiare,

rompiti almeno il collo e casca giù;

 

o prendi un martello, picchiati presto le ossa

e spiaccicati la merda nella pancia

e finisci almeno di farti scoppiare la gola.

 

Mostri quasi pure il culo

o poveraccio sfottuto, non hai addosso

 che quattro soldi al massimo di stracci;

 

e soltanto inzaccherature

si vedono sulla tua casa, brutto scellerato,

e

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Note:

1. stall: " stalla "; ma " stallo " è il luogo occupato dai coristi. IL continua in questa risposta la presenza della lingua italiana, anche a livello di variazioni fonetiche e sintattiche. tò: i vv. i , 4, 5, 8 propongono rime in -ò e non in -ó (= uu) come nella proposta.

2. " mi domando stupito e proprio non so chi sia questo incosciente unico che ti ha preso in casa ". maravûj: cfr. nel Maggi maravoeuiass da maravoeuia, forma paronomastica di maraveia (per affinità a maravoeuia  “malavoglia”).

4. gogò: nel Varon I I « Uno senza boni costumi e creanza ».

5. Ch'occorr: " che bisogno c'è " (cfr. II.2, 9). baiet: " abbai " da riferire a prove di canto, rasgià " cantare " (che colloca al centro del chiasmo l'operazione poetica, il rompersi la testa per fare sonetti).

7. parigg: " parecchi ".

8. rompet... giò: specie di hysteron proteron. smaraiet: denominale da marascia " marraccia, spada

smaraggià è " dar dentro, picchiar alla cieca ". Il Bellati propone la facilior mascaiatt per evidente suggestione del Maggi. Si resiste alla tentazione di correggere prest in pest.

10. spettasciet: " spiaccicati ". bottasg: " ventre "; Varon 5,

11. e fatt... goss: e fatti almeno scoppiare una volta per tutte la gola

12. Te... busnasg: e quasi mostri il culo ", per l'usura degli abiti: cfr. III, io; si veda anche Varon 6 e Cherubini s.v. cuu: " mostrare il culo " diviene per metafora " andar in malora ".

15. pettegasg: " inzaccherature

16. mastin: « un scelerato degno d'esser frustato » Varon 14.

18. striiscin: cenciaiuolo.

20. cantarij: ghiandole, e ghiandole per eccellenza sono i testicoli. Anche nel Maggi segnà i cantarij significa " esorcizzare le ghiandole ", per farle scomparire. strambott: la formula deprecatoria viene definita con un tecnicismo metrico (non pertinente il rilievo del ' radicale ' stramb-). Nel verso è comunque un preciso riferimento alla professione musicale (cantarij è anche " cantorie ") del Varese.

24-25. Ma par ... libeba: " Ma per concludere oggi questa fi lastrocca "; libeba " ribeba " è anche nel Maggi con i medesimo significato di " tiritera, filastrocca ".

 

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Per una meretrice che lo avea abbandonato

 

Va’ mò porca su i forch, va’ che t’hó intes,

va’ mò int i magazzin co’ i tû berton,

che te ne trovare più on coin

inscì dolz com’è stà Fabj Vares.

 

Va’ che hó fed da vedtt no passa on mes

Dré l’Arcivescovà su quij canton

Co’l pignattin con drent quatter carbon

Piena de piûgg, de rogna e mal frances.

 

Bagassa, ch’accadeva a caragnà

Quand te cavava e dì “No me abbandona,

car el mè ben te staró sempr’ in cà” ?

 

Tì te favet la sempia e la coiona,

“No soj la toa Telina e tì el mè pà?”:

la forca che t’impicca, bolgirona.

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Risposta

 

L’è tròpp el ver, te sé’ on dolz coion

A cred che mì t’ voeress stà sempr’ in cà

Dond no s’ parla de bevv né de mansgià,

Nomà sonà ‘l legutt e fa ‘l buffon.

 

E cred mì anch te fust inscì mincion

Te t’ pensass che m’ voress innamorà

Par dì “Son toa Telina e tì el mè pà”,

mûr da chigià per datten on boccon.

 

Razza de can, che occor a fa el gradass

Con dì “G’hó in cà d’i ròbb da dagh del vù”,

s te no gh’è pû da fagh menà I ganass?

 

E quand te ved che te volten el cù,

te dis c’hin bolgironn e c’hin bagass?

Te n’ mentet per la gora, becch fottù.

 

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III

Al è on quaj trenta di che so' in preson

 

 

Al è on quaj trenta di che so' in preson

mi pover Zinibrus nassú in Vares

imputá c'hó fagg liga co' i Frances:

e s' no è « persciò ver, in conclusion ».

 

L'è che l'è stagg on cert Medegh barbon

c'ha dagg commission che fudess pres

e miss ind on gabiott longh e destes,

a tormentamm, e senza remission.

 

M'han già dagg trenta vûlt el fûgh ai pé,

e s' m'han fà sudà 'l zuff, mostra 'l busnasg,         

che cossa no m'han fá sti can giudé.

 

Passensa, c'hó pur anch intregh i brasg!

L’è mò ver ch'al me manca on pó d' dané

da paga i sbirr, el boia e 'l cadenasg:

 

ma se poss portà i strasg

fû da chilò, vûj che chi va e chi ven

faga scusa 'l barbon par mugg de fen.

 

Note :

2. Zinibrus: su zinivell " cervello " si innesta brus " bruciato "; si potrebbe, meno bene, leggere bus bucato ". nassú in Vares: nato nella città di Varese patria dei bosin; o anche nato nella famiglia Varese ".

3. liga co' i Frances: il timore dei Francesi era progressivamente cresciuto nella Milano spagnola dal regno di Enrico IV alla guerra di Casale. Ma il Varese potrebbe suggerire e giocare su un equivoco: lui, infermo di mal francese, è stato imprigionato come ' navarrino '.

4. e s` no... conclusion: il Varese utilizza la congiunzione coordinativa e s' per introdurre - contro le norme - una proposizione negativa, o meglio per negare la formula affermativa finale di quella che doveva essere l'arringa accusatoria: « e non è " perciò vero in conclusione " ».

5. Medegh barbon: " medico briccone "; barbon è variante paronomastica di birbon, che ha nel milanese, fino al Manzoni, una netta accezione di malvagità. Con barbon comunque il Varese sembra indicare un suo nemico personale: cfr. sonn. VIII, 3; XXI, 4. gabiott: " gabbia, prigione ".

9-10. Tra i procedimenti di tortura in uso, il " dare il fuoco ai piedi "; si potrebbe poi intendere al figurato, in un climax di sottintesi: " e mi hanno fatto rizzare i capelli e ridotto all'estremo ". Per busnasg cfr. 1.2, 10.

11. can: sopravvivenza popolare dell'epiteto consueto di " giudeo " nei testi medioevali.

12. hò... brasg: " ho le braccia integre ", nonostante (o per non aver subito) tratti di corda.

13-14. I regolamenti giudiziari in vigore a Milano, come provano i continui divieti delle gride, tolleravano che l'appaltatore delle carceri si rivalesse sui prigionieri: ma il Varese si mostra persuaso di aver goduto un trattamento di favore. Si confronti con la parallela situazione di Meneghino nel Falso filosofo, 111, 1057 sgg.: « El Guardian respond, e i mé onoraerij? / E mett a man sto prolegh: / Tant par podestaria, tant par register, / E tant par caienasc... »: e del Bongee « Anca la bona man? », Porta XXXVIII, 479

16. chilò: " qui "; forma arcaica, ha due sole occorrenze nel Teatro del Maggi. chi... ven: " chiunque ".

17. faga... de fen: " faccia bastare il barbone come letamaio questo era spesso l'utilizzo dei mucchi di fieno sistemati nei cortili o sotto i porticati. Si potrebbero, per altro, produrre altre interpretazioni (" come giaciglio " o anche, in rapporto a VIII, 15-17, " come esca" del rogo).

 

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IV

Sopra una Speziara

 

Signora, a tugg quij c'hin amara

vù g'hí '1 remedj in cà da fáj guarì,

de tugg i má, cornè saravv a dì

de fevra de mazzucch e slomborá.

 

Perchè no gh'è mò anch on quaj cotà         

int i vost busserij da damm a mi,

ch'a tragg a tragg al par vûbbia mori,

e rest' inlò d'i vûlt bell'e tirá?

 

On pó de compassion, speranza mia

desimm « El me car tos, veri domattena

che vederemm stó ma da casciall via ».

 

In quest de mezz scierché quaj cossorena,

rughé on pó ben int i bus della bottia,

che trovarì la mia medesena.

 

Ciapè on pó in man la pena,

e ve pregh mettí drè sul vost listin

questa recetta fá per Battìstin.

 

 

Note:

1. Signora: variante italiana di sora XI, 1. Che si tratti di speziara - femminile di spezié " speziale " - è testimoniato dal solo ms. ambrosiano, ma in sintonia con la bottia delineata nel sonetto. La invocazione alla " signora " ritorna al v. 9, un poco più confidenziale, ma sempre nel medesimo codice italiano, speranza mia.

4. fevra de mazzucch: " febbre di testa "; cfr. Porta Lava piatt xiv, 17: « Ma i maa s'hin de mazzucch, s'ha pari a dì ». slomborá: " lombaggini

5. on quaj cotá: " un qualche cosa ".

6. busserij: " cianfrusaglie "; lett. ciò che si tiene nella bussera, " bussola ".

7-8. al par... tirá: l'equivalenza della ia con la 3a persona sing. nel congiuntivo di volere, suggerisce di proporre per Abbia, più che un soggetto " io ", un soggetto " quello " (se non è suggestione del portiano « on cazz bell e tiraa » xcv, 7). a tragg a tragg: " a momenti ". inlò: " lì ".

10. domattena: cfr. 12 cossorena; la desinenza -ena (rispetto a -ina) è normale nel Prissian e ancora nel Maggi.

13. rughé... bottia: " frugate per bene nei buchi della bottega ". ben int: sinalefe; cfr. VI, 5 « me ven inscì »; e IX, 17 « te ven in cà ».

14. L'ipometria non sussiste quando si legga - sia pure malvolentieri - mia bisallabo.

16. listin: " lista dei conti, fattura "; cfr. Maggi Ff 1, 185-87: « L'è el mè volt come quel d'on operaerij / Quand al porta la lista del lavó, / Che in vedell a vegnì solta i doró »; e Int. 1, 7: « Domà giustà la lista al spizié ».

17. Il verso sembra da leggere in rapporto alla locuzione (del Balestrieri e del Porta cxxxvi, 6) fà i cart col Battista " far l'amore ". Il referente di Battistin è dunque anticipato dal rinvio pronominale del v. 7 (« al par »).

 

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V.

Scolté, se vorì rid, che ve vûj dì

 

Scolté, se vorì rid, che ve vûj dì

coss'ha fá ona fantesca forscellú,

ch'in verità ghe scarparevv el cú

a sta bolsgia s' l'havess a fà con mì.

 

L'heva on moros in legg fin l'olter dì,

anz l'oltra nogg al tacconava sù

ona robetta a dill da dagh del vù

per no menass el cazz com' fó mò mì.

 

Che fala sta fantesca bolgirona

che ved che quel moros è on pó poltron?

Ghe ven compassion, quella coiona,

 

e s' va a tû on scoldalegg pien de carbon

par scoldagh i calcagn, e sta poltrona

la ghe cascé sù '1 fûgh ind i coion,

 

e s' le scottè de bon,

utrum demm dì: che le trattass costù

da bolgiron desziferé mò vù.

 

Note:

1. Scolté: " Ascoltate ", incipit consueto in forme poetiche narrative; per il Varese è l'entrata in contatto con la piccola cerchia dei suoi uditori (cfr. anche I.1 e XVI).

2. forscellú: " forcelluta " cioè biforcuta. t voce arcaica che il Tommaseo segnala nel Dittamondo e nel Commen!o dell'ottimo.

4. bolsgia: più che " pancia " (Cherubini), è da leggere come deverbale di bolgirà, e dunque sinonimo dei vari epiteti dei vv. 9, 11, 13;

6. tacconava: " rappezzava ' ; nel Varon è « Acconciar le scarpe, o vesti con pezze » (taccon). Qui, come a XII, 8 e XIII.1, 4 ha valore traslato e indica l'atto sessuale dal punto di vista maschile. robetta: è nel Maggi Rime XXIV, 73 forse con una lieve allusione sessuale.

13-14. Le rime (con l'aggiustamento di cui in apparato) ripropongono i medesimi lessemi di 10-11, invertendo però i generi e incrociandone i significati: all'interno i metaforici (coiona: poltrona) all'esterno i propri (poltron: coion).

16. utrum: " tutti e due "; voce latina ricorrente nel linguaggio giuridico, ma proponibile alla competenza popolare (e prolessi stilistica del desziferé).

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VI.

A’ Suoi Compagni Musici

 

Messé pré Zopp, al m'è soltà on stremizj

che no poss incordà sto vioron:

de grazia soné on pó vù la canzon

ch'al è forza che vaga ind on servizj:

 

me ven inscì al nas, com'hì finí i offizi,

che vûren fan cantà falsa bordon

tutt pien de ligadur del settem ton,

e mi vûj fà ona fuga de caprizj.

 

M'arecomand Cingard e Cingardett

e vù signor Ottavio Nicorin, io

messe Ippolet, Battista e 'l Spagnolett,

 

a revedess Sargent del viorin

e vù messé Ieronim del cornett,

retiremes al Domm lì su i scarin

 

che per ess lì visin

vûj che daghem a ment se sti toson

vúren lassass ligà, menà in preson.

 

Battemm prest el taccon

fradell, andemm inscià, só quel che digh,

andemm che no '1 gh'è temp da perà figh.

 

Sentí quel che ve digh,

me mandari pú a dì stand in preson

com'è passa l'istoria e la canzon.

 

 

 

Note:

1. pré Zopp: " prete Zoppi ", forse il responsabile della Cappella di S. Gottardo, il dominé di XIX. 1, 21

2. incordà: "accordare"; cfr. XV.2, 3.

4. servizj: " necessità corporale ", legata allo spavento più che " servizio, affare " (cfr. Maggi Mm 111, 576-77: « L'è andx par on sarvizij 1 (Reverenzia parland) »).

5-8. " Mi sa proprio, mi puzza che, finite le funzioni, vogliono far cantare a noi un falsobordone, tutto pieno di legature del settimo tono, e io voglio fare una fuga di capriccio ". L'unico dato certo in questa quartina di non facile interpretazione, è la bisemia dei tecnicismi musicali, con la loro allusività a legamenti, bastonate, fughe.

9-13. Nei registri della Cappella musicale del Duomo del secondo semestre 1595 risultano tra i " cantori straordinari assunti per la festa della Madonna " un Hippolito tenore, un Pietro Francesco Cincarti (che ritorna in data 8 maggio 1596) e un figlio di Nicolino, soprano. Il Cincarti è senz'altro il Cingarti, giovane perché non ha a fianco il Cingardett; il figlio di Nicolino soprano, è certo l'Ottavio Nicolino, che morirà (tenore o basso) nel 1627: una lettera dell'Archivio di Stato di Milano (Fondo Culto, p.a., 1079) ci fa conoscere come Giovanni Battista Lambrugo, che da 22 anni è nella Cappella, chiede l'incarico di maestro del defunto, da poco, Ottavio Nicolini (precisando di accettare un compenso di sette ducatoni di contro ai dodici percepiti dallo scomparso).

14. retiremes... scarin: gli scalini del Duomo, frequentati da perdigiorno, mendicanti, prostitute (cfr. IX, 8 e Maggi Mm 1, 664: « l'Accademia d'i scalin del Domm »). Si deve pensare che l'invito del Varese è raccolto solo da pochi ' vecchi ', mentre i giovani, sti toson, vogliono rimanere sul posto.

18. Battemm... taccon: " svignamocela "; Maggi Bb 111, 203.

19.andemrn inscià: " andiamo via, scappiamo "; Mm pr.11, 3; Pp 11.

20. peràfigh: la locuzione nel Maggi significa "non essere da meno, non temere confronti qui vale " contarla su, perdere tempo in chiacchiere

23. mandarí... stand: il Varese sottolinea l'urgenza del " si salvi chi può ", attualizzando l'ipotesi della prigione, per i curiosi che vorranno assistere alla conclusione della vicenda (istoria) e della esecuzione musicale (canzon: cfr. v. 3)

 

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VII

In Disprezzo

 

Oh cazz, semm an' mò chì con sto sonaj

che tutt el dì me sta a romp el scervell:

vala mò on pezz andà a baià in bordell,

 testa de balotron, de paramaj ?

 

No sét comè la va da dì d'i baj,

che t' faró stà da pé, master Scinell,

poetta dottorá lì al Cantonscell

e incoroná cont ona resta d'aj?

 

Che diset mò mostasg da lutrian,

cera da cavezza cont i fuston,         

somenza de cazzon de quij nostran,

 

battasg da fà soná quel campanon

che domanda a consej tugg i roffian,

cassina de pan marsc e balestron,

 

prió d'i bolgiron,

abbá d' vaccasg e pû guidon falli:

va' via, mò, vatt a scond, che t'hó ciari.

 

 

Note:

1. sonaj: "sonaglio, coglione": cfr. Porta xciv, 2 « Oh quanti parentell han tiraa in pee 1 per nominà i cojon! Gh'han ditt sonaj... ». Equivoco anche battasg 12.

3. vala... pezz: " Manca ancora molto tempo "; cfr. Maggi Mm pr. 11, 12: « Perchè innanz, che fenissa la va on pezz ». Qui il pronome atono la è posposto per l'interrogazione.

4. balotron: cfr. Varon 33: « Belitran, et Belitron. Un'huomo grande, ma da poco. t, tolto dal latino Balatrones idest Homines nihili che così Varrone l'intende »; Cherubini: "Belittran, baggeo ". L'etimo è da ricondurre al tedesco Bettler. paramaj: " pallamaglio "; cfr. Cherubini s.v. Coo: « Coo de fà corr uss o Coo de legn o Coo de paramaj o Coo de perucch o Coo de romp gandoll ».

5. baj: " baie, idiozie ". Il Varese da una parte utilizza il denominale di baiá in accezione lontana dall'etimo animalesco, dall'altra ripropone proprio l'accezione originaria con l'incalzante ansito di labiodentale, dentali, bilabiale.

6. fard... pé: " ti farò stare in gamba, ti saprò tenere in riga alla locuzione fà stà " far rimanere lì, sconfiggere si aggiunge da pé, " a piedi " in opposizione a Cc a cavallo ". master Scinell: " mastro Cinelli "?: personaggio da ìndividuare nella società letteraria del primo seicento milanese. Il Bellati (cfr. Apparati p. 136) legge « master giarvell », suggerendo anche per Scinell (sing. di scinj o zinj Zinibrus 111, 2 -) una interpretazione Cc cervellone ".

7. Cantonscell: tra le varie osterie ' al Cantoncello ', il Varese dovrebbe riferirsi a quella di porta Comasina, ricordata nei Grotteschi P- 473: « Son del tridente l'academie note, / la Buona degl'Arrosti e '1 Cantoncello »; nel Cheribizo 109 e nella bosinada « On dì essend all'ostaria » 148

8. ona resta d'aj: " una treccia d'aglio “

9. Che diset mò: " Che hai da ridire ", che cosa sapresti rispondere a queste bordate. mostasg da lutrian: " muso da luterano "; luteriano è forma normale nel '500

10. cavezzà: " accarezzare, lisciare "; cfr. Varon 7: « Far polito, ornare ». fuston: " torsoli " dei cavoli; cfr. son. XXII, 17 « bressaggià cont i fuston »; e Tanzi p. CXXI: « Tregh di fuston ».

12-13. quel campanon... roffian: la campana della torre di Napo Torriani nel Broletto vecchio, che dando il segno della sera, era per alcuni invito al riposo, per altri al lavoro. 14. cassina... marsc: " cesto dei rifiuti "; cfr. Cherubini s.v. Cassètta. balestron: " pan balestrone " era un " dolce, simile al panforte (fatto con miele, noci e fichi secchi) " (Battaglia, che esemplifica con un passo di Buonarroti il Giovane). La connotazione spregiativa può legarsi alla analogia fonica con baltrescon e balatron.

15-16. prió... abbá: " priore " e " abbate " indicavano, come noto, anche i sovrani delle varie Accademie poetiche e dei paratici artigiani. vaccasg: ci sembra preferibile pensare a referenti femminili (non ostante vacca d'on omm), in opposizione al maschile bolgiron " buggeroni ". guidon: « un povero, e astuto » dice il Varon 12; dunque un imbroglione di strada, ma, si noti, incapace - fallí.

17.          va'... ciarí: l'imperativo è la risposta al Che diset mò , ma non è data dal master Scinell: è stato zittito, e questo è tutto dire per un sonaj.

 

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Sopra le puttane

 

Allegra la mè gent che quest l’è l’ann

che l’ha d’andà tutt coss a bullardé:

se g’hè la calastra d’i danè

el gh’è però bondanza de puttan.

 

Só mì dovè gh’è on para de tosann

Che l’è poch che s’hin miss a fà el mestè,

bisogna visitai denanz, dedrè

par vedei come stan, s’hin froll e sann.

 

Paresgié donca tugg i usadij,

ona lumm on calcon on bosch de sprella,

item la ranspirûra d’i vassij,

 

parchè mì cred che habben la scarsella

piena de tattaritt e fottarij

de quej de recami la tenivella.

 

On po’ de pevarella

só che la gh’è segur, ma in tutt i cas

se gh’ trovè nett el cù degh dent el nas.

 

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Sopra l’impotenza amorosa

 

Havè ona bella cà tutt tappezza,

con d’i bonn possession, d’i bon livij,

senza fiû, senza imbroj, senza fradij,

e stà su i spass e su i comodità;

 

havè semper la tavra paresgià

con su d’i bonn parnis, d’i pollastrij,

mudà sovenz de colz e de cappij

e fa del bell’umor par i contrà ;

 

cavalcà on bell cavall con la valdrappa,

havegh d’i servitor da menà adré

con la scovetta da nettà la cappa;

 

havegh semper in borsa d’i dané

da mantignì d’i spij parchè no scappa

i mei boccon che vegna su ‘l Verzè;

 

trovass pû d’indarè

ind on bon legg cont ona tosa in brazz:

tutt è nient comè no tira el cazz.

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Bibliografia

 

Varese Fabio, CANZONI a cura di Angelo Stella, Massimo Baucia, Renato marchi, 1979

Medici Luigi, LETTERATURA MILANESE dagli albori ai nostri giorni , 1947

Spagnoletti Giacinto e Vivaldi Cesare, POESIA DIALETTALE dal Rinascimento ad oggi (2 vol.) ,1991(I)

Brevini Franco (a cura di), LA POESIA IN DIALETTO - Storia e testi dalle origini al novecento (3 vol.), 1999(I)

Beretta Claudio, LETTERATURA DIALETTALE MILANESE – Parte I , 1985-1997

Bezzola Guido (a cura di ), POESIA MILANESE DELL’OTTOCENTO

 

 

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